I RAGAZZI DI VIA MILANO? LO CONFESSO: SONO STATO IO A DIFFONDERE QUELLA FOTO.

MAURIZIO GASPARRI

La foto la diedi io ai giornali che nel 2002 si occupavano di quei "ragazzi di via Milano" approdati al governo o alla guida d'importanti testate Rai. Eravamo ritratti durante una partita a calcio giornalisti contro tipografi. Non ce ne furono altre, ne prima, ne dopo. Da allora e stata pubblicata fin troppe volte. Ma finalmente, ed e grande merito di Mauro Mazza, qualcuno racconta il clima e la storia di quegli anni. Via Milano vista "da dentro", una vicenda importante, perche li si e formato un pezzo di classe dirigente del nostro paese. Il libro rapido, sincero, ricco di episodi, merita di essere letto da tutti coloro che ci osservano e sembrano ancora non aver capito fino in fondo il gruppo dirigente della destra italiana, le sue qualita, la sua tenacia, il suo percorso, che pur tra periodiche discussioni, non puo che rimanere comune.
Per noi che c'eravamo, poi, e un vero e proprio diario, uno specchio in cui sono riflesse le virtu, molte di piu di quante gli avversari ce ne attribuiscano, e i difetti, questi molto piu rari dei tanti che la sinistra ci affibbia con disarmante banalita.
Ma si, un po' di sana presunzione caro Mauro. Non sapevo, pur vivendo in una dimensione comunitaria quegli anni, che quando il giovane Mazza telefono al gia autorevole Paolo Graldi, per un parere, ricevette una risposta sprezzante, del tipo, "con voi del "Secolo" non ci parlo". Ma Graldi, diventato poi giornalista di fiducia di Caltagirone e deposto anni fa dal suo padrone, se lo ricorda? Se ne vergogna? Perche non ci chiede scusa? Questo era il clima di quegli anni, tutt'altro che "formidabili", ma cupi e tristi, anche se molto formativi. Pochi sorrisi e troppi funerali per la nostra generazione.
Mazza non si limita a scrivere la storia di una redazione, cosa che peraltro fa con grande stile e ammirevole ricchezza di ricordi, ma racconta il clima, le fatiche di un mondo, le sue ansie culturali, la vicenda politica, l'aggressione terroristica. E la fase drammatica ma intensa che va dalla fine degli anni Settanta agli anni Ottanta.
Il "Secolo d'Italia", con i suoi protagonisti, da Tripodi a Giovannini, ma anche con quelli delle sue formidabili "retrovie" dei Troiani e dei Di Mario, e stato osservatorio privilegiato. Ha raccontato e assorbito quegli anni, cosa che e ben piu importante del numero di copie diffuso. Per tutti noi l'esperienza in un piccolo giornale e stata fondamentale, perche si era costretti all'interdisciplinarieta. Il lusso della specializzazione su un solo tema, che poi e un limite, non ci era concesso dall'esiguo organico. E poi in un giornale cosi ti scrivevi il pezzo, facevi il titolo e impaginavi il tutto il tipografia. Un ciclo completo, che ci ha abituati a cavarcela da soli. E cosa c'e di piu formativo nel giornalismo, nella politica e nella vita?
Quanti cretini di successo delle altre sponde politico-culturali abbiamo dovuto sopportare? Avevano tribune solo perche accucciati al potere. I Malgieri e i Veneziani solo attraverso il "Secolo" hanno avuto accesso al sospirato esame da giornalista, mentre schiere di idioti sono approdati al "Corriere" solo perche provenienti da giornali di sinistra. Ne vogliamo parlare un giorno o l'altro dei criteri di accesso ai "grandi" quotidiani di opinione? Giorni fa ha fatto sbellicare di risate una cronaca in ginocchio dedicata dal "Corriere" a D'Alema. Il tono, pateticamente servile, era un esempio negativo. Lo ha scritto un giornalista che collaboro con il "Secolo", ma che non riuscendo a ottenere un contratto, passo a "Paese Sera" e all' "Unita" e da li' al "Corriere" e ora s'inginocchia davanti al padrone di Ikarus. Funzionava cosi. Funziona cosi.
Ecco perche facciamo bene ad "autocelebrarci" un po'. Non ci ha regalato niente nessuno. Ci siamo conquistati i voti uno per uno e con fatica doppia, per la provenienza; altri sono arrivati ai vertici del giornalismo. Semmai c'e da recriminare per i tanti bravi che prima di noi hanno trovato le porte ancora piu serrate o i percorsi della politica ancora piu impervi (anche se i nostri sono stati terribili). Non abbiamo mai avvertito complessi d'inferiorita, ma semmai patito le discriminazioni subite dal "polo escluso'. Ma abbiano sempre guardato fuori e avanti. E il percorso di Alleanza nazionale era maturato da lustri nelle coscienze della destra, assai meno nostalgica di quanto pretendono menzogne e luoghi comuni. Abbiamo letto e abbiamo scritto, abbiamo fatto i militanti, rischiando molto, ma abbiamo anche dato alle stampe libri. Mazza aiuta a ribadire una verita incontestabile. Per fare il paragone con altri esponenti politici, D'Alema e Veltroni, a differenza di tutti noi che siamo partiti nel giornalismo dalla gavetta per arrivare per gradi e dopo anni al vertice, furono nominati per decisione politica alla guida dell'*Unita*, facendo l'esame da professionista dopo essere diventati direttori. Una vergogna anche per il nostro cosiddetto Ordine professionale. Per me poi l'esperienza del "Secolo", formalmente iniziata nel 1982, era di fatto cominciata quattro anni prima, quando in via Milano mi recavo quasi quotidianamente come direttore di "Dissenso", il periodico del Fronte della Gioventu, che preparavo personalmente a tarda notte, quando i tipografi avevano finito di lavorare per il "Secolo" e con la guida di Pino Rigido, dal quale imparavo corpi, giustezze, grise, foto solarizzate e quant'altro. "Dissenso" per me e molti altri e stata una "scuola" nella "scuola".
Il libro dunque serviva, non per reducismo, ma per mettere nero su bianco ricordi collettivi, farlo leggere a chi e venuto dopo, offrire elementi reali a chi, piu di quanti si creda, osservano, studiano, scandagliano il nostro mondo. Mauro ha elogiato la mia capacita di lavoro, e io, che dalle stanze di via Milano organizzai anche il congresso di Sorrento che vincemmo con Fini nel 1987, (certo anche per la benedizione di Almirante, ma per merito di una vasta comunita che radunammo citta per citta, sezione per sezione), ammiravo la sua capacita di guardarsi attorno. Di cercare ulteriori spazi professionali. Al "Secolo" c'erano i giornalisti-politici, con la testa un po' al giornale - dove tutti abbiamo intensamente lavorato - e un po' al partito, e i giornalisti-giornalisti che nel tempo cercavano occasioni di crescita altrove. Mauro, tra i secondi, e stato sempre capace di sacrificio, affrontando con coraggio a un certo punto il mare aperto. Altri, su altre sponde, sono approdati in alto solo per raccomandazione, non per merito come e stato per lui e altri della foto.
Dopo le recenti polemiche, dovute alla dabbenaggine di qualche terza fila che si credeva approdata in *pole position*, e bene sottolineare questo fatto. E sara bene parlarne anche in pubblico, per spiegare come era il mondo che vedeva un Graldi qualunque comportarsi come Mazza ha ricordato, e dire quanto ancora oggi la sinistra discrimini, ricatti, lottizzi. Peraltro, e ci torno perche la cosa mi ha sinceramente indignato, Graldi divenne direttore di nome ma addetto stampa di fatto di un nuovo ricco. Mazza fa il direttore alla Rai nell'apprezzamento generale, per il suo equilibrio e la sua cultura. Anche lui, come me e altri, negli anni del "Secolo" scriveva libri. Ricordo bene il suo volume su Giovanni Papini, "L'inquietudine del secolo", pubblicato con Volpe.
Il "Secolo" ci ha insegnato molte cose, finimmo persino tutti in cassa integrazione per qualche mese rischiando il posto. Con Storace, dopo avere litigato e abbandonato la redazione (ma senza venire alle mani....) rischiammo il licenziamento. Cesare Mantovani ci fece recapitare una formale lettera con cui notificava l'avvio della procedura. Ce ne eravamo andati dopo una accesa discussione su chi doveva pubblicare nella sua pagina dei dati elettorali. Francesco, lo abbiamo ricordato insieme in questi giorni, aveva preso sul serio la cosa. Io in verita molto meno. Poi intervenne Michele Marchio. Ammettemmo l'errore e rientrammo in redazione. Niente di epico. Eppure giorni fa ho letto un titolone su "Libero". Sembrava una pagina di storia....
Non so dove andremo. So che non veniamo dal nulla. E che abbiamo seminato per strada molti nemici violenti, critici astiosi, compagni di strada invidiosi. Nessuno di noi pensava, a parte qualche affabulazione, che saremmo finiti al governo o alle direzioni Rai. Ma non ci siamo mai sentiti inferiori a quelli che ci stavano. Spesso con meno cultura e meno onesta.
Abbiamo imparato a via Milano, anche scrivendo talvolta cronache un po' enfatiche, a rappresentare un vasto mondo che non e piu all'angolo. Che era allora, e anche oggi, l'Italia vera e migliore.