Una lettera al Corriere della Sera in risposta all'articolo di Pierluigi Battista
NOI, RAGAZZI DI VIA MILANO

MAURIZIO GASPARRI

Eravamo degli "autistici" noi "ragazzi di via Milano" che ci siamo formati nella redazione del Secolo d'Italia a cavallo tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta? Cosi' la pensa Pierluigi Battista nel suo articolo dedicato al libro di Mauro Mazza, allora giornalista del quotidiano missino, oggi direttore del Tg2, e come molti di noi passato con un lungo e non facile percorso dal "ghetto" al governo o alla guida di qualche importante testata. Battista in verita' ci definisce anche generosi e idealisti, gliene siamo grati, ma ci accusa in sostanza di essere rimasti chiusi ad altri mondi, a diversi apporti culturali, senza registi, cantanti, attori o astrofisici nel giro delle nostre frequentazioni. Un po' di autocelebrazione nel libro di Mazza indubbiamente c'e', ma e' ammissibile. Soprattutto in una fase in cui gli scivoloni di qualche scadente terza fila hanno spesso indotto a giudizi ingiusti e generalizzanti nei confronti di un gruppo dirigente che ha gia' portato due volte la destra al governo. Si' e' vero, in quegli anni eravamo un po' isolati, non eravamo "benedetti" da qualche Dario Fo o Norberto Bobbio (gia' giovani fascisti con memoria a scoppio ritardato del loro passato), mentre i potenziali Nanni Moretti o Francesco De Gregori non ebbero l' onore dei grandi palcoscenici perche', pur non cantando "Giovinezza", non erano in linea con la cultura dominante. Se grazie ai voti e alle vicende della storia la discriminazione politica del "polo escluso" e' venuta meno, nel campo della cultura e dell' informazione non si puo' dire altrettanto. Oggi. Figuriamoci venti o trent' anni fa. Anni di piombo. In cui la nostra generazione e' cresciuta con pochi sorrisi e troppi funerali. Insomma, mi creda Battista, la nostra "alterita'" rispetto al mondo che ci circondava, e che pure cercavamo di sondare in qualche modo, non era un vezzo. Era il frutto di un clima carico di odio. Mazza nel libro racconta che all' epoca telefono' dal "Secolo" a un giornalista gia' allora autorevole, Paolo Graldi, per avere qualche opinione su vicende di terrorismo. Graldi disse che con quelli del "Secolo" non ci parlava. Episodio minimo, ma che spiega in che Italia si viveva. Se alcuni non parlavano, altri, molti altri, facevano ben di piu' e di peggio. Bando all' autocelebrazione, ma la lettura di un altro libro, "Cuori Neri" di Luca Telese, racconta bene quel tragico tempo, con la penna di uno che non c'era e che non e' di destra. Che per alcuni quella difficile ma formativa esperienza abbia a volte portato a rifiutare "contaminazioni fuori dal ghetto", e' possibile. Se e' per questo anche a destra, ma non tra quelli di via Milano, ci fu chi follemente penso' di rispondere colpo su colpo alla violenza altrui. Ma nel ghetto, noi nati nel dopoguerra, c'eravamo finiti per vicende che riguardavano altri tempi che non avevamo vissuto. E ora anche noi facciamo il "dibattito" su noi stessi, per dire che non veniamo dal nulla e che pensiamo di avere ancora molto da fare, scrivere, imparare. Ma senza sudditanze e non accettando altri "esami" se non quelli di elettori, lettori o spettatori.