Addio a Cesare Mantovani

UN MAESTRO PER I RAGAZZI DI VIA MILANO
MAURO MAZZA
Vengono tirati in ballo spesso, e molto spesso a sproposito, i "ragazzi di via Milano". Vengono indicati cosi' dei giornalisti, allora giovanissimi alle prime armi che lavoravano nei locali di via Milano 70, a Roma, nella
redazione del Secolo d'Italia, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Si chiamavano Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri, Teodoro Buontempo e Adolfo Urso, Silvano Moffa e Francesco Storace, Gennaro Malgieri e Gianni Rossi, Flavia Perina e Silvia Mastrantonio, Pino Rigido e Adalberto Baldoni, Carlo Cozzi e Beppe Leone, Bruno Socillo e Mauro Mazza. A governare quella squadra, che avrebbe sfornato una classe politica dirigente e direttori di giornale, era Cesare Mantovani, che al Secolo viveva una dozzina d'ore al giorno e al Msi aveva dedicato la vita.
In quegli anni bellissimi e difficili, Mantovani era per tutti il Secolo stesso. Ne era il garante politico. Ne era l'artefice editoriale. Erano anni bellissimi per chi si affacciava al mestiere di giornalista dalle finestre di via Milano. Erano anni difficili per chi aveva scelto di stare dalla parte sbagliata, mentre il vento soffiava forte in direzione opposta: anni di piombo, di morti ammazzati, di "cuori neri". Quel Secolo, diretto da Nino Tripodi e da Franz Maria d'Asaro, era soprattutto il Secolo di Cesare Mantovani, allora redattore capo, che sarebbe diventato vice di Alberto Giovannini e infine direttore nel 1984, dopo la scomparsa del Grande Vecchio. Cominciava a immaginare la prima pagina fin dal mattino, quando in redazione il ticchettio delle telescriventi era coperto solo dalla voce di Peppe, il fattorino factotum e amico con un cuore grande cosi'. Poi la riunione coi colleghi, uno scambio di opinioni, l'assegnazione dei compiti e gli aggiustamenti nel corso della giornata. Infine, il confronto sugli articoli prima dell'invio in tipografia. Leggeva (e correggeva) un corsivo o un commento di prima pagina come se impegnassero la linea del partito, che in quelle righe doveva riconoscersi, dall'ultimo dei lettori fino a Giorgio Almirante. Il Segretario lo adorava e si fidava di lui. Quando c'era una materia bollente, o una notizia da commentare, Mantovani gli telefonava e si sentiva rispondere: "La nostra posizione su questo? Fai tu, la leggero' domani sul Secolo".
Con noi ragazzi era severo. Come lo sono i maestri. Non tollerava il pressappochismo ne' le piccole furberie. Ideale politico e senso del dovere, per lui, erano la stessa cosa: da vivere, non da predicare nei comizi o nei corridoi. Un giorno arrivo' al giornale con un paio d'ore di ritardo. Noi gia' sapevamo. Nella notte un infarto aveva stroncato il fratello, all'improvviso. Faticammo non poco per convincerlo a tornarsene a casa. Lo fece soltanto dopo aver impostato il giornale.
Da giovane era stato presidente del Fuan, alla guida degli universitari della destra aveva attraversato la difficile stagione del Sessantotto. Tento' un paio di volte l'avventura elettorale. Ma senza successo. Lui se ne stava tutto il giorno in via Milano mentre gli altri candidati andavano in cerca di voti. Lui non era capace, glielo impediva il suo carattere, tutt'altro che buono. Ripeteva spesso che avere carattere e avere un brutto carattere era la stessa cosa. Questo gli costo' molto, negli anni, anche per il diffuso (mal) costume partitico che premia i mediocri purche' fedeli, a danno dei
migliori che non dicono sempre signorsi'.
In quel tempo, si stava assieme perche' ci si sentiva parte di una comunita' piu' grande. Piu' dall'esterno si moltiplicavano attacchi, discriminazioni e ostracismi, piu' ci si teneva per mano: solidali, uniti, perbene. Una volta, dopo la scissione di Democrazia nazionale che dimezzo' di colpo la rappresentanza parlamentare del Msi, la questione morale si sovrappose a quella politica. Resistere e reagire erano le sole cose da fare, per salvare il salvabile e, con esso, la passione e le idee. Mi prese da parte e mi disse: "Ci sono tempi e uomini di ferro; e ci sono tempi e uomini di latta". Era il 1976. Oggi che Cesare Mantovani se n'e' andato, i ragazzi di via Milano hanno una ragione in piu' per piangere, per resistere, per reagire.