Il Riformista, 04-08-2006, p.8

MAZZA, ANDAVAMO IN VIA MILANO
Angelo Mellone

La storia del «Secolo d'Italia» e' una storia di (tanti) uomini e (poche) donne. E vabbe', qual e' la novita'? E che e' stato fino in fondo forse l'unico giornale non di partito, ma di un partito cucito sullo strano pentolone missino in cui ribolliva di tutto, un brodo dallo strano sapore perche' gli ingredienti non riuscivano a legare. Nell'Msi, spinti anzitutto dal sentimento difensivo dell'accomodarsi al di la' dell'arco costituzionale, c'era di tutto, estrema destra ed estrema sinistra, tradizionalisti e futuristi. C'era Pinuccio Tatarella che negli anni Settanta faceva i comizi coi tricolori senza la fiamma e Beppe Niccolai, l'Ingrao missino, che faceva firmare alla classe dirigente almirantiana un ordine del giorno votato dal Pci giorni prima. Togli Pci e metti Msi. E c'era chi sognava la grande destra, i paleocraxiani, i rivoluzionari, i nuclearisti e gli ecologisti. E il «Secolo»,fatta salva l'ortodossia concessa in prima pagina al capo del partito, sfogliava una per una queste gioiose contraddizioni e il loro doloroso corollario di isolamento dal mondo di fuori, cosi' tante da polverizzare qualsiasi lettura ideologica della sua storia.
Mauro Mazza, oggi direttore del Tg2, dal 1977 al 1987 e' entrato tutte le mattine in un fortino redazionale situato non come oggi a via della Scrofa, in quelli che furono i locali della sala riunioni del Msi, ma a via Milano. Un palazzotto conciato come un bunker sospettoso (Mazza ricorda l'attentato che fece saltare in aria la tipografia).«gelido d'inverno e bollente d'estate» ha ricordato a «Omnibus» Teodoro Buontempo,che nella comitiva dei scolanti, «un punto d'incontro per chi non aveva ne' parrocchie, ne' Frattocchie» entro' attivista e uscì giornalista pur senza perdere mai l'abitudine di spogliarsi in redazione e coricarsi per la pennichella sulla scrivania del malcapitato collega di turno. Mazza racconta questo tra gli altri aneddoti di una storia, quella de «I ragazzi di via Milano» (editore Fergen, e visto che e' un primo capitolo c'e' anche un sito per completare l'opera, www.iragazzidiviamilano.it), finora ricordata solo per l'ormai famosissima fotografia che ne ritrae alcuni, vestiti da calciatori nei primi anni Ottanta, i cui nomi hanno fatto una fetta importante del governo e del giornalismo pubblico degli ultimi anni. Mazza, allora portiere del team, questa foto la mette in copertina, con il gusto rabbioso di riappropriarsi di un'immagine della memoria, sottraendola al gossip delle crisi di governo e di qualche inchiesta scosciata e restituendola a chi vi compare: per intenderci, Gennaro Malgieri diviso tra il giornale e la rivisteria, Gianfranco Fini gia' «affidabilissimo uomo-macchina» redazionale, Stefano Mattei, Gianni Scipione Rossi. Maurizio Gasparri che «parlava, e parlava, velocissimo» e faceva a cazzotti con Francesco Storace che pareva un barbudo guevarista, Pino Rigido, Bruno Socillo. I ricordi di Acca Larentia. L'occasione mancata del «socialismo tricolore» a meta' anni Ottanta, il senso d'isolamento sniffato tra i colleghi, gli episodi quasi deamicisiani. E quelli che nella foto non ci sono. Adolfo Urso e Stefano Moffa, Aldo Di Lello e Marcello Veneziani, Adalberto Baldoni e Franz Maria d' Asaro, Almirante che arrivava in Cinquecento e il suo piu' fedele esegeta, Cesare Mantovani, il fattorino Angelo Mancia, che prima d'essere ucciso sotto casa nel 1980, chiacchierava ogni mattina da Babington con Sandro Pertini. In cui deve trovare posto anche cio' che in quel giornale accadde dopo, dalla direzione pirotecnica a fine anni Ottanta di Giano Accame, che per spernacchiare il lepenismo pubblico' una foto di Gianfranco Fini con una bambina di colore in braccio e il titolo: «Solidarieta'», fino alla storia d'oggi, il «Secolo» versione riformista-glamour della coppia Lanna&Perina.